Gioia, vita, morte e ritmo: tutto con la medesima intensità.
Ah, l’anglocentrismo! Dannato fenomeno che rischia di farci perdere chicche incredibili, come uno dei pezzi più intensi dell’ultimo album di Natalia Lafourcade, musicista che – anno dopo anno (inizia a comporre sedicenne e ha ormai messo da parte un repertorio di più di dieci album) nell’ultimo ventennio – ha regalato al mondo messicano e ispanico carisma e pathos.
Classe 1984, si muove in un territorio dove basta veramente poco a colorare le proprie canzoni, che sanno ovviamente di “altrove” e di paesi a noi lontani. E allora Muerte sia, perché è la cosa più vicina al tuffo al cuore che ci è arrivato al nostro primo ascolto.
De todas las flores vede in azione bande di archi, fiati, manici scafati della chitarra come il benemerito Marc Ribot e figli d’arte come il produttore Adan Jodorowsky, figlio di Valerie e Alejandro. Sangue di ottima qualità, che come previsto non mente, in un misto di drammatica intensità ed estrema bellezza (il passaggio fra i due mondi è quantomai labile).
Un ringraziamento alla morte dunque, per gli insegnamenti che ci dà: quasi uno spoken word su un ritmo ballerino e dolente, che ci trasporta immediatamente in un mondo di scheletri colorati, brindisi, prove, ripassi e collaborazioni giocose fra generazioni di musicisti. Con una voce, quella di Natalia, che non vorremmo mai lasciare e che aumenta la voglia di tuffarci in toto negli umori messicani, nelle urla, nei balli e nei giochi: nel vivere la musica (e la vita, e la morte, appunto) come fossero tutti componenti della medesima strada da percorrere con gratitudine e intensità.
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