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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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John Diva & the Rockets of Love: The Big Easy
Fantasmi sulla Sunset Strip

John Diva & the Rockets of Love
The Big Easy

Un insieme di innocenza e malizia, come una Lolita glam di 50 anni.

John Diva e i razzi dell’amore. Potreste pensare che un gruppo come un nome simile, armato di bandane e spandex, nel nuovo millennio sia solo un progetto scherzoso alla Steel Panther. E invece no, questi ragazzi fanno sul serio, ma con il sorriso sornione di chi tiene in pugno la cognizione del tempo e non caccia la testa di struzzo tra le chiappe di un passato scorreggione e malinconico. I John Diva & the Rockets of Love suonano un solido e sboronissimo glam metal che tributa la propria fedeltà a divertimento, edonismo da crema doposole, piscine e colline holliwoodiane.

John Diva del resto non è un verginello svedese, ma un veterano che ha affiancato – sia come coach, co-autore e tuttofare – band alla stregua di Scorpions e Whitesnake. Lui c’era al tempo in cui “le cose accadevano sul serio”. Oggi usa l’esperienza per ricreare una capsula temporale in cui ci dice, con l’aria scanzonata e un po’ rinco di un Bret Michaels, di saltar su e fare un giro nello spazio stellato, rimirando la terra dei terremoti solcata da corpi abbronzati e da occhiali da sole cerchiati di plastica fosforescente.

The Big Easy è un brano che mescola i mid-tempo rocciosi di 1987, quando David Coverdale scalava le vette di Still of the Night come se Nirmal Purja fosse la sua ugola aromatizzata alla menta. E mentre siamo lì a fare sì e sì con la nostra testona mangiata dalla calvizie, si apre un ritornello in stile Warrant di Cherry Pie e poi un bridge degno dei Fleetwood Mac più sfarzosi.

Quella spensieratezza non tornerà più per la semplice ragione che non c’è mai stata davvero, però possiamo illuderci di sorseggiarne un po’ nelle conche sofficiose del revisionismo musicale. Hell yeah!

John Diva & the Rockets of Love 

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