Il power italiano risorge quando e dove meno te l’aspetti.
Zitta zitta, nelle spire terremotanti del power metal si è inserita tutta una sintassi estrema che solo vent’anni fa sarebbe stata impensabile. Il brano dei Frozen Crown è un esempio di come i sottogeneri del metallo – in modo quasi impercettibile – assorbano dall’ambiente ogni sorta di esclusivismo venefico, trascinando avanti una formula tradizionale che si aggiorna e si aggiorna di fraseggi e di sinfonismi scoppiettanti, rappezzando piccoli pezzi di ricambio da velivoli caduti in mezzo alle selve del sentiero mancino dello Swedish death metal o rinvenuti nei gelidi inverni nordici da Permafrost.
E il richiamo dal Nord di cui parlano i Frozen Crown non sembrerebbe condurre in nessun posto che non si sia già esplorato più e più volte, ma a ben guardare – anzi, a ben ascoltare – lo scorcio è esplorato alle velocità degne dei Dragonforce, corroborate da inni teutonici dei Blind Guardian più tradizionali e un tappeto di riff che ricorda gli In Flames di Clayman.
Peccato che la voce femminile non riesca a dare al richiamo nordico qualcosa di più arrischiato e periglioso come solo le ugole incerte e d’occasione di Boltendahl e Hansen o Peter “Peavy” Wagner sapevano offrire. Qui l’ugola elfica di Giada Etro è impeccabile, pulitissima e sparata diritta come un fuoco d’artificio che scaturisce dal cespuglio verso la coltre venerea di stelline in alto nel cielo. Ma va bene così, era da tempo che non arrivavano segnali tanto convincenti dal power italiano, quindi siamo campanilisti e contenti.