Cavalli pazzi ancora insieme per una corsa nelle praterie del futuro.
È stato Rick Rubin a fare piovere sangue sulla terra mortifera degli Slayer con Reign in Blood, nello stesso anno in cui produceva per la sua Def Jam Licensed to Ill dei Beastie Boys. È stato ancora lui a sequestrare tutti i pedali a Billy Duffy, per le registrazioni di Electric dei Cult, costringendolo a sfruttare la sola saturazione dell’amplificatore e ottenere così un impatto raw power. C’è sempre la sua ombra nella rinascita dell’Americana: era il 1994 quando si mise al banco per Wildflowers di Tom Petty, facendone uscire un suono sfavillante. Ma, soprattutto, è stato ancora Rubin a rilanciare la carriera di Johnny Cash creandogli su misura le American Recordings, sessioni che hanno definito il concetto di potenza nella sottrazione.
Se il futuro non accade mai per caso, l’incontro con Neil Young era già scritto nel naturale corso delle cose. Il nuovo World Record, co-prodotto, contiene undici brani inediti, registrati insieme ai sodali di una vita Crazy Horse. Chevrolet è la traccia che meglio rappresenta il passato inteso come fuga in avanti, ovvero tensione verso quella dimensione di assoluta libertà conquistata in anni di ineccepibile carriera da sbattere in faccia a ogni svalutazione della propria identità.
Gli oltre quindici minuti del brano rimandano a una condizione dell’essere: che sia il palco del Fillmore East o uno scricchiolante fienile in mezzo alla natura, lo zio Neil resterà sempre con i piedi piantati all’interno di un personale perimetro atemporale, pronto a fare fluire la propria coscienza attraverso rivoli di assoli dalle traiettorie oblique con il volume del Fender Deluxe a livelli spropositati. Cos’altro volere di più dal rock’n’roll?
Neil Young & Crazy Horse Neil Young
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