Il biglietto da visita per l’inferno del dark jazz.
La rovina con caduta libera in picchiata del jazz è sotto gli occhi di tutti. Quello che un secolo fa era un genere di rottura – trasformatosi poi in qualcosa di raffinato adatto a sensibilità e orecchie (e soprattutto neuroni) affamate di stimoli – si è poco alla volta trasformato in un sottofondo paragonabile alla musica per sale d’attesa, tipo quelle odiosissime cover rock in chiave lounge. Il lato più in superficie del genere è ormai scialbo, piatto, privo di qualsivoglia guizzo artistico creativo che meriti un ascolto attento. Per trovare qualcosa di davvero nuovo e stimolante bisogna scavare, molto, e come è noto più si va a fondo più ci si avvicina al centro della Terra: oscuro, infernale, spaventoso, e forse proprio per questo eccitante.
Il polistrumentista Jason Köhnen vent’anni fa coniò il termine dark jazz, e per tutti coloro si stiano chiedendo cosa sia, questa nuova uscita di una delle sue creature (The Lovecraft Sextet è infatti uno dei millemila progetti che vedono coinvolto l’olandese) può essere d’aiuto.
Si fa per dire ovviamente. Perché gli otto minuti e mezzo di Domine trasportano l’ascoltatore in un inferno cacofonico, un girone dantesco con le anime del black metal, dell’industrial, del noise puro, dell’ambient più iconoclasta, che vengono ammaestrate a colpi di frusta da un’impostazione jazz che si potrebbe definire totalitaria se non rimandasse a discorsi politici poco affini alla musica.
Un ascolto ostico ma allo stesso tempo appagante, per tutti quelli che non hanno mai messo la parola “fine” sulla propria ricerca in ambito di musica estrema.