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Nina Hagen: 16 Tons
Il ballo del pavone

La risata che ci seppellirà.

Le incomprensioni che si possono verificare da una traduzione errata sono infinite. Spesso però il problema non è tanto la grammatica, quanto il senso. Un esempio recente è la notizia rimbalzata sui siti secondo cui un ragno sarebbe stato visto sulla bara della regina Elisabetta, con lo strillone «un ragno conquista il web». Che fa molto idiozia. Nella traduzione non si tiene conto che web vuol dire ragnatela e per gli anglosassoni ha duplice valenza: loro ironizzavano sull’estrema enfasi che a volte viene data a determinati eventi (un ragno conquista la ragnatela – sottotitolo: e sticazzi?). Noi… ci siamo caduti.

Non facciamoci dunque ingannare dal nuovo singolo della veterana Nina Hagen. La sessantasettenne icona punk made in Germany rilegge qui il classico Sixteen Tons: originariamente registrata da Merle Travis nel 1947 e portata al successo prima nel 1955 da Tennessee Ernie Ford e poi nel 1987 da Johnny Cash, il brano era la descrizione della vita dura del minatore, «muscoli, sangue, pelle e ossa» alle prese con giorni di lavoro massacrante, in cui la propria anima appartiene all’azienda.

All’apparenza, la versione della Hagen, oltre a trasformare il pezzo in una sorta di Stones mid 80’s sotto allucinogeni, cambia di poco. E invece no: sia la frase ripetuta «non torneremo mai ai giorni delle 16 tonnellate», sia il videoclip privo di maschi forzuti, qui sostituiti da suoi alter ego trendy e alternativi (tra gli altri potete riconoscere Mille Petrozza dei Kreator e Frank Vollmann dei Frank the Baptist), la dicono lunga su ciò che Nina vuole dire con questa cover. È il rivendicare i valori per chiunque a prescindere dagli orientamenti, non l’esaltazione machista made in USA degli stessi. È l’oggi che apparentemente “sta meglio” ma probabilmente rischia di essere ancora più schiavo di prima. È il rischio dell’aver venduto l’anima non solo alla produttività ma al sistema tutto, in cambio di qualche profumo e balocco, preferibilmente digitale e da esporre al mondo. È la bulimia narcisistica che tende a soppiantare la fame di libertà.

È – semplicemente – un altro colpo di teatro di una delle icone più anarchiche dei nostri tempi, che anche stavolta è riuscita a ingannare le masse, fingendo di mostrare un nuovo gioiello: tutti guardano l’anello, mentre lei in realtà sta porgendo il dito medio.

Nina Hagen 

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