Sino al livor mortis.
Dopo dieci anni di assenza, John Cale pubblicherà a gennaio 2023 il suo nuovo album, Mercy. Punto.
Basterebbe questo per chiudere la recensione, diciamolo pure. Perché si parla di una delle menti artistiche migliori che gli amanti della Musica con la “M” maiuscola abbiano avuto la fortuna di ascoltare. Perché non si tratta di uno che ha fatto la storia: si tratta di uno che è la Storia, anche quella con la “S” maiuscola. E soprattutto perché la sua voglia di spingersi sempre oltre ha reso e continua a rendere il suo lavoro entusiasmante. Questo singolo ad esempio, antipasto del disco che verrà.
Il sangue qui descritto non è quello gore alla Cannibal Corpse, né quello poetico alla Robert Smith. È quello reale, concreto: il propellente che ci fa funzionare. E proprio come il fluido rosso che scorre nel nostro corpo, il brano si muove sinuoso, quasi silente, con le voci di Cale stesso e di Natalie Mering (alias Weyes Blood) che continuano a incrociarsi ma mai davvero corrono all’unisono, come i vasi sanguigni che pompano intrecciati eppure mai paralleli.
Tutto fila liscio, come nella vita, finché qualcosa stride fortemente (uno scratch su un vinile che spezza il brano) e il gioco si blocca. Poi ricomincia, ma dura meno, molto meno di quanto è successo prima dell’interruzione. Un infarto, un aneurisma, un’ischemia, semplicemente la vecchiaia e i suoi acciacchi? È la storia di molti. È la storia di tutti. È la descrizione del ciclo della vita. Nascita, esistenza, danno, morte – in poco più di sette minuti: una mini suite sinfonica che è colonna sonora (in?) volontaria di ogni essere vivente. O più semplicemente, l’ennesimo capolavoro di un genio.
John Cale feat Weyes Blood John Cale Weyes Blood
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