Strumenti dal mondo, suonati bene.
Tra gli abitanti più simpatici (sì, dai, ormai è sempre più uguale a Luis Nazario da Lima, in arte Ronaldo il Fenomeno) del panorama della world music dell’ultima decade (diciamo anche delle ultime due) non si può mai dimenticarsi del buon Dhafer Youssef, icona di quel sentore folk e jazzoso che sta a cavallo tra Europa, Africa e Medio Oriente e che ha toccato nel tempo anche l’elettronica e un certo tipo di rock (memorabile ancora il gran concerto a Izmir (Turchia) del 2013, che ancora echeggia nelle playlist che si rispettano).
Affascinato fin da bambino dall’alone mistico della musica sufi, ha sempre prediletto l’uso dell’oud, il liuto arabo che lo accompagna in ogni sortita e cambio di formazione. Anche per questo il suo sound ha costantemente vantato un’impronta riconoscibile, nonostante le virate di forma. Non si sa, infatti, ancora cosa aspettarsi dal nuovo Sounds of Minarets, in uscita all’inizio del prossimo anno.
Un piacere, intanto, risentirlo con la nuova Ondes of Chakras, pezzo che – rifacendoci alla versione di sei minuti (diversa da quella del singolo vero e proprio, che dura la metà) – riscopre ancora la parte più evocativa del suo comporre, rinunciando (ma solo qui) a tripudi jazz-oriented e percussivi in favore di un mood più mite e contemplativo. Insieme al tunisino, per l’occasione, appaiono nomi del calibro di Marcus Miller, Rakesh Chaurasia, Vinnie Colaiuta, Adriano Dos Santos Tenorio e Nguyên Lê. E mica male, gli si può rispondere.
A tal proposito, il bansuri (flauto di bamboo indiano) di Chaurasia sormonta il tutto per un po’, ritornando per salutare alla fine del pezzo, dopo aver lasciato il posto al basso di Miller. Sotto, perpetuamente, un’atmosfera creata da un patrimonio culturale della musica suonata bene. Perché ogni altro aggettivo non le renderebbe giustizia, considerando il suo impatto qualitativo, capace di ammaliare chiunque.