Il risveglio prima dell’apocalisse.
I due anni di febbre da COVID (è un brutto, ma involontario gioco di parole) non hanno causato solo vittime reali, ma lasciato segni profondi anche in chi – fortunatamente – non ci ha lasciato le penne, segnando molte persone in modo profondo a livello psicologico. È stata una mattanza trasversale, che ha travolto il vicino di casa precario come la superstar milionaria.
Mike Patton è uno di questi ultimi. Ritiratosi volontariamente dai riflettori (facendo così – tra l’altro – saltare un remunerativo tour mondiale con i Faith No More) a causa di instabilità mentale post-lockdown, torna oggi e – pezzo dopo pezzo – ritrova se stesso.
Non è forse un caso che la band con la quale ha deciso di riprendere coraggio e rimettersi in gioco siano proprio i Dead Cross, quel quartetto nato quasi per gioco, che ha letteralmente spazzato via tutto con un LP e una manciata di pezzi a dir poco letali.
Questa Christian Missile Crisis è uno dei singoli portanti del nuovo disco e la prima cosa che salta all’orecchio è la furia. Non che prima fossero delle educande, ma è palese quanto i Nostri abbiano cambiato marcia schiacciando il pedale sulla violenza sonora mai fine a se stessa. Dave Lombardo dietro le pelli è sempre il miglior batterista che il rock in senso ampio abbia mai conosciuto, così come il lavoro sulle quattro e sei corde di Justin Pearson e Michael Crain rimane sublime nel suo essere tagliente e abrasivo. Ma mai come questa volta è la voce di Patton (che duetta con Justin) a farla da padrone. Per la prima volta infatti nella sua interpretazione si sentono delle crepe che vanno nel profondo, ma il suo prendere di petto decisamente la questione trasforma la sua performance in una lotta interiore che lo porta a livelli mai visti prima. Se non tecnicamente, di sicuro emotivamente. Tradotto: dovrebbe “solo” far scapocciare, ma invece commuove pure.
Perché ci sono passati in tanti e molti ci stanno ancora sotto: Mike dimostra al suo pubblico che è possibile – anzi, doveroso – rialzare la testa, per quanto doloroso possa essere sia il farlo sia vedere (risvegliandosi dal torpore della depressione paranoica) cosa il mondo è nel frattempo diventato. In questo senso, il video è annichilente tanto quanto il brano.
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