Una voce per rompere il silenzio chiassoso che attanaglia l’uomo 2.0.
Per chi non se ne fosse accorto, negli ultimi due anni e mezzo il mondo si è rovesciato. E continua a rotolare.
Va ribadito, perché sembra che le nuove generazioni siano già assuefatte alla situazione, perlomeno guardando le loro espressioni artistiche tendenzialmente prive di qualsiasi tipo di (auto)critica che vada oltre le problematiche esistenziali del quotidiano. Appurato ciò, fa dunque pensare il fatto che – nel bene o nel male – gli spunti di riflessione più ampia e profonda vengano perlopiù dalla cosiddetta “vecchia guardia”, gli anziani diciamo, che invece di godersi la pensione preferiscono (o sentono la necessità di) cercare di risvegliare con la loro arte il pensiero collettivo, o perlomeno di farlo funzionare, invece che lasciarlo dormiente tra un like e un selfie distratto.
Diamanda Galás, classe 1955, dopo cinque anni di oblio è tornata a cantare. E scortica pelle e anima degli ascoltatori come non faceva da molto tempo. Il suo nuovo lavoro (diviso in due atti complementari: questo il primo, qui il secondo) è un lungo trip nell’inferno interiore creato dall’esterno, un’accusa diretta e tagliente verso una società che ha addestrato i propri membri ad accettare tutti i dogmi senza porsi domande, non importa da dove questi provengano. Divide et impera, meglio se annaffiando il tutto con polvere digitale anestetizzante.
La Galás si affida a dei poemi di Georg Heym (Die Dämonen Der Stadt e Das Fieberspital) usandoli come parafrasi per aprire ferite in cui svuotare lucidamente acido e sale, mentre sullo sfondo il caos sonoro a opera di Daniel Neumann è linfa vitale dalla quale La Serpenta (ri)trova se stessa, in un approccio che apparentemente cancella in un colpo i suoi ultimi 30 anni e la ricollega ai suoi primi, devastanti e disturbanti lavori in studio. Sono questi i tool con la quale disegna una civiltà al collasso, un mondo che è già inferno in attesa dell’apocalisse finale, in un grido sordo ma chirurgicamente lacerante, che fa impallidire tutti i musicisti estremi (comprese le sue imitatrici) che affollano le playlist di quelli che fanno a gara su chi se ne intende di più.
Questo non è un gioco. Nemmeno uno scherzo. Tantomeno una posa. La voce sovrumana di Diamanda – come è già successo – spazza via tutto, letteralmente. Difficile che ascolterete qualcosa di più profondo, evocativo ed efficace quest’anno. Uno dei suoi migliori lavori, nonché un nuovo capolavoro nella musica tutta.