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Clutch: Slaughter Beach
Non certo il perfetto look da spiaggia

Strani cugini dell’Ovest alle prese con sole, spiaggia e mostri marini volanti.

Se tutto il fenomeno stoner/desert negli ultimi anni è stato riempito di cloni fatti a copia carbone, è anche vero che il sound dei Clutch resta ancora inimitabile. Ed è forse questo – oltre più di un pugno di hit – ad aver conferito a questi ceffi del Maryland lo status di band di culto. Forse incapaci di bissare l’immenso Blast Tyrant, vero, ma anche in grado di offrire sempre materiale degno di estremo riguardo.

Oltre a un comparto solido di umorismo, cazzutaggine e buone capacità compositive, è stato certamente l’estro di Neil Fallon a permettere al gruppo di sfornare l’ennesimo singolone, che farà gola a tutti gli aficionados. Slaughter Beach – leviatani marini volanti annessi – è già una instant classic per la discografia della band: ritornellone spavaldo che rimane impresso, bella produzione (sempre al limite del lo-fi) e poche balle.

Lo stoner della band non si discosta di un millimetro da tutto quello che è già stato detto e sentito, ma il bello è che comunque si fa fatica a non ondeggiare a ritmo, come dei redneck con la camicia a quadri impolverata, proprio lì, dove sorge l’alba, a Slaughter Beach (esiste davvero). Considerando anche l’ottimo altro singolo Red Alert, non possiamo che goderci il quasi omonimo (tecnicamente è Sunrise on Slaughter Beach) nuovo disco, appena uscito.

In alcune sale prova – e ancora in qualche commento di YouTube – si mormora ancora una leggenda, che riassume bene l’importanza di questa gente all’interno di certe nicchie. Parla di un foglietto appeso alla bacheca: «Il nostro bassista adorava i Clutch. Al nostro batterista invece non piacevano proprio. Ora abbiamo un nuovo batterista».

Clutch 

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