Danze post-lisergiche leccando cortecce fatate in mondi surreali.
I maligni potrebbero affermare, dopo l’ascolto di Atopos (dal nuovo Fossora), che i funghetti presenti nel videoclip che accompagna il brano Björk se li sia mangiati. Ora, probabile che lo abbia pure fatto in passato, ma non è questo il punto.
Il fatto è che l’islandese, nella sua vita (parlare di carriera per una che ha cominciato a incidere album a 11 anni è quantomeno riduttivo), non si è mai fossilizzata, passando con nonchalance dal post-punk, al pop, alla techno, sino alla musica da camera.
Inafferrabile è – probabilmente – l’aggettivo che più si addice alla Guðmundsdóttir, così come per i più potrebbe essere incomprensibile il suo continuo allontanarsi dal mainstream che conta. Va detto, i successi discografici della nostra sono stati degli “errori” del mercato, delle splendide eccezioni che facevano sì che in mezzo a boiate tipo gli Spin Doctors o Haddaway si potessero ascoltare alla radio dei veri e propri capolavori come Human Behaviour, Hyperballad o Bacherolette.
Torna oggi con un lavoro nuovamente di difficile classificazione, a distanza di cinque anni (e con un doloroso divorzio di mezzo) dal precedente Utopia – un album prevalentemente acustico, calmo e orchestrale, che viene qui letteralmente spazzato via da una rivisitazione dance degna di rave postapocalittico, in cui un ensamble di clarinetti bassi (uno strumento di origine egiziana simile al corno di bassetto) fa il paio con una ritmica sincopata a opera del duo indonesiano Gabber Modus Operandi, per un risultato ritmico che è come ballare ubriachi con una gamba ingessata.
E poi lei, con la sua voce unica, il suo modo scorretto ma proprio per questo personalissimo di usare metrica e pause, la sua personalità complessa che riesce a trasparire da ogni nota e una necessità mai sopita di trasmettere qualcosa con le sue canzoni che vada ben oltre il mero intrattenimento.
Forse l’artista egualmente più famosa e meno capita della sua generazione, Björk continua a sorprendere e stupire nonostante la sua arte sia ormai diventata ermetica e inavvicinabile dai più. Probabilmente è ciò che ha sempre voluto.
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