Memorie di un pazzo?
A sorpresa, Shar… ehm, Ozzy Osbourne annuncia il dodicesimo album in studio, in uscita a settembre, di cui la title track è scelta come antipasto. Ne avevamo bisogno? E come suona? Rispondiamo a questa coppia di quesiti partendo dall’ultimo.
Squadra che vince non si cambia, e dietro al mixer troviamo più o meno quelli che hanno dato vita al precedente Ordinary Men. Anche l’idea di riempire il lavoro con collaborazioni più e più illustri non è nuova, ma riesce a regalare quel giusto senso di freschezza compositiva ai brani. Per esempio il lavoro di Jeff Beck qui è superlativo per efficacia e dosaggio. Gli assoli non sono boombastici ma sottilmente fondamentali nel regalare nuove melodie al pezzo, brano nemmeno troppo velatamente autobiografico: se apparentemente è un rimando all’Ozzy storico (i micro riferimenti a Diary of a Madman, Bark at the Moon e Blizzard of Ozz si sprecano, sia nel testo che nella musica) ha i piedi ben piantati nell’oggi con un sound moderno e accattivante, sopra il quale la sempre magnetica voce di Osbourne (trattata al solito con chili di autotune – chi pensa sia una novità o non conosce lo Zio Principe dell’Oscurità, o dimentica che i suoi 73 anni valgono 150 per un uomo normale) rapisce e incanta.
Ne avevamo bisogno dunque? Assolutamente sì. Perché queste sono le ultime cartucce (inutile sperare nella vita eterna, Lemmy insegna) a disposizione per un artista che ha dato tutto se stesso alla musica. Perché il suo timbro è talmente unico che farebbe innamorare anche della suoneria della sveglia se ci cantasse sopra. Perché Ozzy è come Babbo Natale: sappiamo tutti come andrà a finire ma la magia nel fingere di credere che non sarà così dà la forza per continuare. Meglio se con una Patient Number 9 nelle orecchie.
Ozzy Osbourne feat. Jeff Beck Ozzy Osbourne Jeff Beck
↦ Leggi anche:
Jeff Beck: Live In The Dark
Ozzy Osbourne: Under The Graveyard