Una pagoda di notte su un mare blu elettrico.
Se c’è una cosa che non si può dire di Robert Smith è che sia un uomo legato al passato. Tralasciando il look (ognuno potrà fare quello che gli pare, no?) ha sempre dimostrato una curiosità enorme per tutta la musica contemporanea, soprattutto per quella underground.
È proprio scavando nel sottosuolo di Bandcamp che ha cominciato ad amare i Joycut, arrivando a farli suonare alla prestigiosa edizione del Meltdown da lui curata nel 2019. Per la band italiana doveva essere il punto di partenza che avrebbe dovuto dare una svolta netta alla sua carriera, ma evidentemente (perlomeno in casa) il pubblico è meno attento del cantante dei Cure. Peccato per chi non ha la stessa curiosità.
Il nuovo pezzo del gruppo bolognese (ma originario di Potenza) ci regala sette lunghi minuti di electro evocativa e cinematografica, con Brian Eno che guarda sorridente poggiato al muro, in cui il brano si prende tutto il tempo necessario per crescere, colorarsi, caricare i toni, emozionare fino a portare alla catarsi conclusiva in un caleidoscopio emotivo sempre sull’orlo dell’esplosione. Una capacità compositiva ed espressiva fatta di strati sonori e interventi mai a caso, dove ogni dettaglio ha un peso e il fine è rapire lo stomaco di chi ascolta.
Dopo quasi vent’anni di carriera (già, tutt’altro che dei ragazzini alle prime armi), i Joycut non smettono di stupire.