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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Capitol: Taste of Cindy
Vero che il look non è tutto, però…

Gesù e Maria Catena nella capitale del Nuovo Ordine.

Ultimamente grazie ai (o per colpa dei) social, chiunque partecipa a un concerto può commentarlo. Ciò che una volta era compito di recensori esperti, che si permettevano di dare un giudizio dopo aver maturato negli anni un senso critico e una visione d’insieme il più possibile obiettiva, ora è ad appannaggio di chiunque: la chiacchiera da bar tra ubriachi è equiparata al discorso ragionato, e parte del declino della società è anche questo.

Uno dei punti su cui più spesso si infiammano gli animi è la durata dei concerti. Persone che lamentano esibizioni troppo brevi, dato che insomma “ho pagato il biglietto, bello eh ma solo un’ora e un quarto di concerto…”, dimenticandosi completamente della maggiore importanza della qualità più che della quantità.

Viene da sorridere al vecchio amante della musica, perché parlando di esibizioni dal vivo tra quelle passate alla storia come – nel bene e nel male – memorabili ci sono quelle anni ‘80 dei Jesus and Mary Chain, ovvero mediamente meno di mezz’ora di feedback caotici e totale disgusto/disinteresse per il pubblico presente. Quelle sì che erano esperienze, altro che ciance da Facebook.

A tal proposito, piace constatare come i fratelli Reid rimangano sempre parte di un certo tipo di cultura sonica, sia come influenze citate apertamente sia come tributi a loro dedicati. È il caso di questa Taste of Cindy, originariamente sul seminale Psychocandy, qui riletta in modo piacevole dai dream poppers (con la “s”, è un modo di dire, maliziosi…) canadesi Capitol, che riprendono il grezzo minuto e quaranta originario dilatandolo quel tanto che basta per affogarlo in sensazioni vicine ai New Order più romantici.

Il risultato è sicuramente piacevole e fa risaltare quanto quei quattro semplicissimi accordi funzionassero divinamente con quella linea vocale, a prescindere dal genere con cui si possa decidere di (ri)proporli. Un modo per (ri)scoprire una delle band più importanti del post-punk chitarristico e allo stesso modo per dare una chance a dei volenterosi e talentuosi ragazzi dell’Ontario.

Capitol 

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