Dance dance dance dance to the Spotify playlist.
A volte per descrivere qualcosa – nello specifico una canzone – è più facile fare delle liste, tipo quelle della spesa. E allora procediamo.
Provenienti dall’Inghilterra? Sì. Di preciso? Wolverhampton, una zona spesso citata dai Led Zeppelin, e non per motivi propriamente gioiosi. Nome della band? Quello di un noto poeta del decadentismo francese. Nome del singolo? Che domande: quello di un poema del noto poeta francese sopracitato. Produttore? Gavin Monaghan, che ha lavorato con un pacco di gente, da Robert Plant a Paolo Nutini. Trama del testo? Una tizia che va in un club molto dark e deve vedersela con un mix fatto di alcol e violenza spiccia, sperando di tornare a casa intera. Storie di tutti i sabati notte, dunque. La musica? Un mistone in cui troviamo Killing Joke più orecchiabili, Editors, Interpol, White Lies, Franz Ferdinand e compagnia bella. Percentuale di possibilità per danze con i puntalini? Molto alta. Indice di gradimento generale? Altrettanto alto. Riconoscibilità e peso nella storia della musica? Medio-basso.
E quindi? E quindi la band made in UK sa bene come essere paracula e piacere, coinvolge quanto basta con una parvenza di senso dietro il testo e soprattutto accende l’“abballamento” (cit.) – per ora va (molto) bene anche così.