Il ritorno del re della città misteriosa.
A vent’anni era bellissimo, quel fascino androgino unito alla leggendaria avvenenza dei maschi scandinavi. A sessanta si tiene ancora in forma, anche se comincia a somigliare spaventosamente a Rita Pavone. Ma nessuno è eterno, manco il pubblico.
Di certo, quando nel 1979 fondò gli imprescindibili (IM-PRE-SCIN-DI-BI-LI) Hanoi Rocks con Nasty Suicide aveva le idee ben chiare su ciò che volesse: vivere rock’n’roll come se non ci fosse un domani. Domani che per lui c’è stato (andò peggio nel dicembre 1984 a Razzle), con una carriera solista di relativo successo, che – pur non regalandogli vagonate di soldoni – di certo ha mantenuto alto il suo status di rockstar. Cioè, basta dire Michael Monroe e per gli appassionati dello sleaze si apre un mondo oggi come ieri.
Torna in queste settimane con un album nuovo, dal titolo autobiografico e irriverente I Live Too Fast to Die Young, dove nulla fa nemmeno lontanamente pensare a una necessità di evoluzione stilistica, anzi. Fedele a sé stesso fino al midollo, il platinatissimo finlandese inanella una serie di pezzi maledettamente sudici e irresistibili, come questa Everybody’s Nobody: una durata che è il numero della bestia diviso due per un inno ai perdenti, quelli considerati dalla massa una gramigna da estirpare ma che – proprio come la simpatica pianta erbacea perenne – stanno sempre lì.
Dondolante e semplice, nel suo essere sporca gronda carisma e attitudine da ogni nota, facendo impallidire band moderne come i pur volenterosi Greta Van Fleet, tanto più professionali e “bravi” quanto completamente privi di quelle cicatrici nell’anima che rendono leggendari personaggi come Monroe. Da ascoltare sogghignando mentre mostriamo un bel dito medio al mondo: è quello che in fondo vorremmo fare tutti, no?
Michael Monroe Hanoi Rocks Motley Crue
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