Voglio una fuga blu.
È stato facile cadere nella tentazione del gioco di parole usato nel titolo di questa recensione. Facile quanto tentare di paragonare – come a ogni uscita della band di Cuneo – ciò che furono fino a Ho ucciso paranoia e ciò che, con mille altri mutamenti, sono diventati sino ad arrivare a oggi.
Spesso liberarsi di tutti i preconcetti è il modo migliore per immergersi completamente in un’uscita di un gruppo storico, ed è questo l’unico consiglio valido da dare a chi ha dubbi a riguardo.
Godano & Co. non sono più gli animali da palco grondanti sudore che schiumavano sulle note di Cenere, ma nemmeno chi all’epoca era altrettanto sudato e schiumante sotto il palco è la stessa persona, e quelli che invece si lamentano ma all’epoca ancora andavano all’asilo (o peggio non erano nati) hanno diritto di parola tanto quanto il nipotino che al pranzo della prima comunione ricorda le gesta di Platini denigrando la deriva del calcio moderno.
Detto questo, è della Fuga che si sta parlando. Primo singolo del nuovo album dei Marlene Kuntz, è un pugno dritto nello stomaco di quelli che benpensano, ubriachi e storditi a suon di amari calici buttati giù a forza, che hanno fatto accettare l’inaccettabile rendendo normalità qualcosa che sino a poco tempo fa sarebbe stata ritenuta pura follia.
Liriche forti, crude, taglienti, che ben si sposano con una musica che da tempo ha abbandonato gli insegnamenti Sonici (tanto per pescare un altro luogo comune) e ha preso strade più vicine a un’evoluzione paragonabile alle cose migliori del Thom Yorke più ispirato.
Ingiustamente bistrattati dai duri e puri che vivono nel passato, i Marlene Kuntz continuano a essere un faro nella musica italiana che illumina a giorno i concetti di qualità, profondità, coerenza ed evoluzione artistica. A volte per cogliere la bellezza delle cose bisogna far dialogare lo stomaco e il cuore: una Nuotando nell’aria a caso era sì una splendida canzone immortale, ma artisticamente qui siamo davvero su un altro livello. Giù il cappello.