Tutta la crudeltà della bellezza americana.
Gli Wilco hanno vissuto, nello stesso tempo, tante vite e una sola. Non c’è mai stata alcuna incoerenza nel loro percorso, solo una leggera complicazione dei registri che potremmo ascrivere all’ingresso nella line-up di Nels Cline a partire da Sky Blue Sky in poi e che ha, indubbiamente, alzato l’asticella della formula.
Probabilmente, solo A Ghost Is Born costituisce un unicum per la band di Chicago: il modo in cui la produzione di Jim O’Rourke ha amplificato quell’aura di inquietudine che avvolge tutte le canzoni è finalizzata ad assecondare le volute del buio interiore di Jeff Tweedy, piuttosto che l’esigenza di creare discontinuità con il precedente Yankee Hotel Foxtrot.
Così, di fronte al nuovo Cruel Country l’interrogativo si alimenta alla luce di un cambio di rotta degli Wilco, simile allo scalino post Aoxomoxoa dei Grateful Dead, quello che segnò con il dualismo Workingman’s Dead / American Beauty (tra l’altro, entrambi del 1970) la fine del sogno psichedelico. Cruel Country suona diretto, senza sovrastrutture, forse nello stesso modo in cui Jerry Garcia a suo tempo ha voluto abbandonare ogni intellettualismo ritornando alle vere origini, ovvero agli USA come terra di pionieri e contenitore di tutte le contraddizioni.
Falling Apart (Right Now) sembra provenire proprio da uno dei due dischi della svolta americana dei Dead, ma con la sensibilità dei Jayhawks per il loro modo di cercare un posto nella contemporaneità. Un brano che rappresenta una sorta di retrofuturismo in cui – su tutto – prevale sempre e comunque Tweedy, l’unico forse oggi che riesce a maneggiare la materia dell’Americana e dei suoi derivati con competenza innegabile e, soprattutto, grande rispetto filologico.
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