La colazione psichedelica di Alan, fatta a 73 anni.
Con una carriera in ambito musicale di oltre mezzo secolo, dieci milioni di copie (fisiche, non streaming e farloccate simili) vendute e la croce e delizia eterna dell’essere stato dietro al banco mixer di quel capolavoro assoluto della musica tutta che è The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, la figura di Alan Parsons rimarrà una delle più rilevanti degli ultimi decenni, seppur mai troppo spesso ricordato per le effettive qualità compositive.
Capace di classici mangiaclassifiche come Eye in the Sky o veri e propri capolavori a cavallo tra Prog e Kraut come Tales of Mistery and Immagination, il Nostro ormai da secoli non centra una hit, ma sembra fregarsene altamente, e a ragione. In realtà non è cambiata la qualità della proposta, semplicemente il grande pubblico poco apprezza certe cose tra AOR, prog e rock sinfonico che andavano forte negli anni ‘80, ma tant’è.
Orfano del leggendario e mai troppo ricordato Eric Woolfson da ormai trent’anni (la sua uscita ha segnato anche la cancellazione del suffisso “Project” dal moniker) nel tempo Parsons si è avvalso di numerosi collaboratori di talento per dare – letteralmente – voce alle sue canzoni. Ultimo (ma solo in ordine di apparenza) è quella vecchia volpe di Tommy Shaw, ugola degli Styx, che sulla nuovissima Uroboros dà sfoggio di tutta la sua classe e profondità interpretativa. Il brano è davvero piacevole e farà felici sicuramente i nostalgici amanti del genere.
Inoltre potrebbe trasformarsi nella scusa per andare a (ri)ascoltarsi perlomeno i primi dieci anni di carriera, dove nei vari album si alternavano pezzi pop rock di pregevole fattura a vere e proprie suite magnificamente composte e interpretate. Se poi uno vuole fare il “duro e puro”, tenere i paraocchi e liquidare il tutto come “robaccia”, il problema non è di Parsons ma di chi (non?) ascolta, perlomeno con giudizio critico, cosa che invece hanno fatto – e bene – Tobias Forge e altri, con risultati eccelsi. Ad Maiora.