Coreografare il caos, con minuzioso autocontrollo.
«Una live band che suona industrial techno». Si autodefiniscono con qualcosa che assomiglia più a un ossimoro che a un gioco di parole compiaciuto, questi rumoristi nerd, e se la cosa, nella vostra testa, non rende perfettamente l’idea è solo perché quella (la vostra testa, dico) giace triste e incartapecorita su un concetto di elettronica fatta con lo stampino, che da ormai quasi trent’anni mira solo a riscuotere dividendi nel breve termine, sotto forma di “su le mani!” stancamente telefonati a mezzo di improvvisi stacchi e lenti arrotolamenti sulla manopola degli LFO.
Ecco, provate invece a fare un giro nei peggiori bar di Caracas dancefloor di Bristol. Facile che vi imbatterete in un mostro sonoro come questo e le vostre orecchie si ricorderanno che, se opportunamente stimolate, possono ancora risultare non così facilmente impressionabili come credevano.
Quartetto che sotto molti aspetti è in tutto e per tutto una rock band, gli Scalping hanno il merito di approcciare la propria musica con la garra e la presunzione dei signori della notte, intrecciando circuiti trance attorno agli strumenti tradizionali, tirando i fili della folla imbizzarrita sulla pista come DJ burattinai che non disdegnano le chitarre al posto della consolle. Estremi per principio, devotissimi a dettagli che – stratificati, moltiplicati e amplificati – diventano rumore bianco barocco e cagnara digitalizzata, vivono in una prospettiva liminale tutta loro, musica emarginata da qualunque parametro di genere. È un cocktail allarmante e malsano, il loro, appoggiato di malavoglia su un bancone in precario equilibrio tra noise metal e techno coriacea, che mischia con premeditazione l’horrorcore scorticato dei Clipping ai riff dei Sabbath, sintesi perfetta di intensità e precisione, interamente giocata su un minimo margine di errore.
Prendete questa Tether, per esempio. Il rapper di Oakland DÆMON serve ai fedeli un sermone a dir poco criptico, mentre sullo sfondo sembra che i Death Grips stiano facendo un’orgia insieme a dei tossici che hanno rubato gli hard disk con dei master inediti, registrati dai Fear Factory sotto oppiacei. Il video diretto da Red Tubby non fa che peggiorare le cose: riprende la soggettiva POV di Smack My Bitch Up, la ripulisce di tutta l’originale narrativa hardcore (nel senso di porno, proprio) e ti prende sì ancora per mano, ma solo per accompagnarti nel regno dell’epilessia, dove i pixel diventano glitch che sanno di MDMA e piccoli cancri 3D si autorigenerano a nastro ogni volta che ti scappano dalle mani.
Liberi di considerarlo l’ennesimo trip sintetico privo di appigli alla realtà, ma se c’è un punto di contatto tra controllo ossessivo e orgasmico abbandono, è proprio lì che stiamo andando a parare.
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