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Pink Floyd (feat. Andriy Khlyvnyuk): Hey Hey Rise Up
Eravamo quattro amici

Pink Floyd (feat. Andriy Khlyvnyuk)
Hey Hey Rise Up

Discussioni tra cuore e orecchio: un pezzo che si vorrebbe fortemente amare, ma lo si vede più come un amico.

Viviamo in un periodo storico in cui ogni cosa dura un battito di ciglia. Le persone sono talmente assuefatte che nessuno o quasi si sofferma a riflettere più del tempo necessario a scorrere una manciata di post. Ecco allora che a distanza di pochi giorni dall’uscita del nuovo – inatteso – singolo dei Pink Floyd, già il tutto sembra svanito nel nulla.

L’idea di Gilmour e Mason di riesumare uno dei marchi più famosi del rock è nobile: dare risalto alla situazione che sta vivendo l’Ucraina, cercando di raccogliere fondi tramite le royalties da destinare a varie associazioni benefiche che operano sul campo. Ma operazioni del genere sono la norma in questi giorni. Lo hanno fatto i Måneskin con un video da un minuto, i Cure con una maglietta a tema. Addirittura un supergruppo formato da Stewart Copeland dei Police, Sean Lennon, Les Claypool dei Primus ed Eugene Hütz dei Gogol Bordello con un pezzo pro-Zelensky. Insomma il giochino è chiaro e semplice: alzare un polverone mediatico (cosa ovvia con il nome Pink Floyd in ballo) per accendere i riflettori su qualcosa.

C’è da dire però che quel “qualcosa” è sotto migliaia di lenti d’ingrandimento – 24/7, con o senza canzoni.

Rimane, dunque, la musica. E di questo gli ex ragazzi in rosa erano maestri assoluti. Musica che stavolta spiazza, perché ci si aspetta qualcosa di familiare e invece si realizza che il tutto viene tenuto assieme dalla voce “estranea” di Andriy Khlyvnyuh dei misconosciuti Boombox (il tutto nasce proprio da quello in effetti), mentre il resto – appunto – lascia un po’ così, perché sembra davvero un compitino buttato giù in fretta e furia. Che fa anche arrabbiare, in certi passaggi (vedi l’assolo di Gilmour, che non è male ma poteva forse essere meglio). Un David che mostra uno slancio emotivo enorme nel voler fare qualcosa, ma una scarsità di intuizioni efficaci nel comporre e arrangiare roba che davvero rapisca il cuore.

Hey Hey Rise Up verrà comunque ricordata negli anni, ma più per il significato a monte che per la qualità intrinseca del pezzo. Rimane il fatto che comunque – grazie al moniker imponente – sta avendo più passaggi in radio di tutte le operazioni simili fatte da altri. Anche se il dubbio rimane: splendido gesto oppure occasione sprecata?

Nel suo essere poco friendly, forse Waters ha lasciato un segno più profondo con il suo videomessaggio, la cui unica pecca (o forse dovremmo dire il pregio?) è il non instillare in noi la convinzione che inglobarlo aiuterà sicuramente un bambino in difficoltà, grazie ai nostri centesimi, miseramente affiancati alle centinaia di milioni che volano da uno Stato all’altro per… aiuti. Never again.

Pink Floyd Andriy Khlyvnyuk 

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