Sub Pop? Sub folk!
Naima Bock è la tipica artista figlia dei pregi della contemporaneità. Nel caso specifico, un’assenza di confini geografici, mentali ed estetici – ché spesso vanno di pari passo, qui più che altrove – tale da far in modo che la ragazza, nata a Glastonbury da padre brasiliano e madre greca, abbia trascorso l’infanzia a San Paolo e, adolescente, sia tornata a Londra per spendere sei anni a suonare il basso nelle Goat Girl. Poi l’inquieta se ne stanca e allarga gli orizzonti. Mette su una ditta di giardinaggio, studia archeologia e violino, compone canzoni in lunghe camminate, si innamora del folk. Una gran bella energia, ammettiamolo.
A un certo punto il suo dinamismo l’ha spinta a intrecciare il percorso con quello del produttore/arrangiatore Joel Burton, ex membro dei Viewfinder, e avviare una collaborazione culminata in Giant Palm, album di debutto di prossima uscita. Va da sé che una tavolozza così policroma ed eclettica può correre il rischio di sfilacciarsi se manca il talento per tenere insieme il bandolo di suggestioni. Niente paura: nel cantautorato modernista di Naima tutto torna, tutto si tiene. Soprattutto la stranezza. Parla chiaro una Toll che srotola trasognato folk albionico dall’anima agreste e il retrogusto acidulo.
Qualcosa di delicato ma anche stranito come si conviene e come accadeva a fine anni ‘60, non fosse che il suo gioco di pieni e vuoti è tutt’altro che lineare e, spiazzando con naturalezza, spalanca una giostra fiatistica di jazz barocco sulla quale si spegne. Se gli ingredienti sono chiari, la ricetta risulta saporita e non accusabile di revivalismo. L’album sarà disponibile all’inizio di luglio, nientemeno che per la Sub Pop. Attendiamo fiduciosi.