Polvere scintillante di una luna vestita con lo smoking.
È musica senza tempo, quella dei Tuxedomoon, e per una volta non è un semplice modo di dire. Il loro approccio alla composizione, alla sperimentazione, e quel continuo inglobare influenze antiche per trasformarle in moderne hanno reso realmente la loro musica immortale. L’assenza di un’immagine definita, quell’essere rapiti da fascinazioni mediorientali e mediterranee pur mantenendo sempre e comunque un approccio british li ha costantemente collocati non sopra o sotto i trend, ma paralleli: nel loro mondo le mode avevano poca importanza, la ricerca del successo ancora meno (l’unica hit, No Tears, era una presa in giro verso un certo tipo di musica ed è stata più volte criticata dalla stessa band sino a lasciarla nel dimenticatoio, ripescata giusto per divertissement).
Una fila di album ineccepibili, una carriera impeccabile a cui solo la morte di Peter Principle sembra aver messo un punto.
Restano comunque i dischi e restano i lavori solisti dei superstiti. I quali – seppur privi di qualche ovvio pezzo del puzzle – non possono non riportare subito alla mente i fasti della band madre.
Resist di Steven Brown fa parte di questa categoria: una voce e un pianoforte lievemente sporchi ma terribilmente pregni di pathos e classe riportano per un attimo a capolavori come The Cage, di cui, però, Resist non risulta una gemella, quanto una sorella di cui la madre è evidentemente riconoscibile. È musica alta, raffinata, ma assolutamente non snob o distaccata. Non ci sono momenti algidi nelle partiture di Brown, né tantomeno artifizi che puntano all’effetto “facile”. Semplicemente, canzoni – vale la pena ripeterlo – che dal primo ascolto diventano senza sforzo timeless.
Se i Tuxedomoon non ci sono più, il loro spirito e la loro magnificenza continuano a vivere attraverso brani come questo, vera cura per cuore e mente.