Lo schianto emotivamente assordante di un fiocco di neve che tocca terra.
Ci sono diversi approcci al nichilismo, tutti differenziati da sfumature più o meno velate, ma l’unico che davvero può far fare un passo in avanti nel percorso esistenziale (che sia buona cosa o meno è ad appannaggio dei singoli) è quello attivo di Nietzsche.
Ovviamente distruggere qualcosa causa sempre dolore, e, nonostante il fine sia nobile (costruire qualcos’altro di nuovo sopra le macerie), non sempre è alla portata emotiva di tutti. Resta che quel tipo di percorso non è una linea retta, bensì una strada fatta di saliscendi a zig zag, con alcuni rettilinei velocissimi in cui però sono inseriti non pochi stop, sotto forma di strisce chiodate. L’arresto improvviso dopo la corsa a perdifiato, la caduta del corridore a pochi metri dal nastro finale, il criceto che scende dalla ruota.
È in questo limbo, una sorta di stallo emozionale tinto di grigio, che la musica di Hinako Omori diventa colonna sonora ideale. Incrocio bastardo tra ambient e soundscape, trova il suo pieno compimento nelle stanze deserte in cui fissare un vuoto che diventa pian piano una foresta sterminata, man mano che i mattoni cadono uno a uno lasciandoci soli con noi stessi. Un’elettronica “altra”, a opera di una delle musiciste attualmente più interessanti di quest’area, che pesca a piene mani da soluzioni sonore in cui la natura non è fonte di preoccupazione né panacea universale, bensì tramite per espandere il proprio Io a un livello superiore. Che sia solare o buio sta al singolo, ovviamente.
Di certo qualcosa di veramente valido che regala nuova credibilità a un certo approccio new age nel fare musica elettronica.