Altari sacrificali per i segreti della notte eterna.
Il mondo si divide in due. È una semplificazione, ovviamente, ma tendenzialmente si è portati a distinguere le masse – e dunque le persone – in due insiemi: belli e brutti, buoni e cattivi, codardi e coraggiosi, onesti e truffaldini, true e poser. Quest’ultimo confronto è il più gettonato nel metal, da sempre: esserci o farci può essere questione di vita o di morte.
Non è dato sapere se i Devil Master ci credano sul serio o se la loro sia una recita, sta di fatto che hanno diverse frecce avvelenate nella loro faretra pronte ad avallare la prima ipotesi – e anche se non fossero davvero battezzati nel sangue nero, il risultato è talmente buono che si può chiudere un occhio.
La band di Filadelfia abbina a un’immagine marcatamente black metal anni ‘90 – con tanto di corpse paint e tutto il corollario di teschi e croci rovesciate – una musica apparentemente primitiva che è un riuscitissimo ibrido tra il proto-black di Bathory e Mortuary Drape, le intuizioni dei Darkthrone e il D-beat in salsa English Dogs + Discharge, il tutto annegato in un mare di decadenza melodica. Qualcosa che può somigliare vagamente ai primi Tribulation, ma infinitamente più sgraziati e grondanti liquidi organici.
Impossibile per orecchie avvezze a certe sonorità non rimanere rapiti dalla poetica pregna di male che gocciola da Acid Black Mass, così come improbabile è non godersi il videoclip volutamente lo-fi (eppure mille volte più convincente ed efficace di molte altre cose “moderne” girate in 4K) zeppo di BC Rich, mantelli di velluto e morte sparsa su ogni fotogramma.
I Devil Master sono attualmente tra i migliori nella scena che guarda nostalgicamente al passato, cercando di ricrearne, più che i suoni, un certo spirito carnale.