Diffidate delle imitazioni.
Primavera di ritorni eccellenti e almeno da questo punto di vista possiamo dirci felici. In tempi grami e bui, basta l’attesa di un nuovo album dei Built to Spill – anche se uscirà a settembre: la vita è breve, talvolta bella – per sentirsi un po’ rinfrancati. Del resto, il passo con il quale a un certo punto della carriera (all’incirca, dal bellissimo You in Reverse in avanti) Doug Martsch e soci hanno preso a pubblicare, ricorda le visite di quei carissimi amici che, per un motivo o per l’altro, incontri di rado però senti ogni giorno.
Sono quelli che si meritano la nostra stima e soprattutto amore senza riserve: nel caso specifico, per non aver mai sbagliato un disco e per come hanno gestito una carriera che li ha visti allargare progressivamente il bacino d’utenza, fino ad accasarsi presso una major (nel frattempo abbandonata) senza rompersi le ossa né tanto meno svilirsi. Così Martsch ha dimostrato che il guitar hero in chiave indie non è un controsenso e che è splendido maturare come autori tramite canzoni poggiate sulle emozioni.
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Una garanzia, i Built to Spill, sia dal vivo che in studio: colà li avevamo lasciati sette anni or sono con la nota alta Untethered Moon e, più di recente, alle prese con pagine estratte dal repertorio dell’amico Daniel Johnston in un vibrante album tributo.
Magari è suggestione, eppure qualcosa della dolce svagatezza di Daniel trapela da Gonna Loose, pallottola dorata dal piglio più garagista del solito e la ruggine chitarristica che esonda, benvenuta e inarrestabile, sopra una cantilena favolosamente appiccicosa. Sì, lo sappiamo: è il “solito” stile che in un alveo di malinconia impasta Pavement, Dinosaur Jr. e il Neil Young elettrico. Sì, lo sappiamo: nessuno lo fa così bene. Diffidate delle imitazioni.