Lupetti scafati che sanno suonare tradizionalmente nuovi.
Gli svedesotti Wolf vanno dritto al sodo come pornostar ragionate e ci propongono un metal semplice, cupo, di taglia melodica e con un bel riff terzinato. Shadowland non è nulla di nuovo, ma da molti anni l’intero genere pratica il conservatorismo e ne fa una questione d’orgoglio, quindi spiace quasi vedere tutto questo esubero di energie e di tecnicismi, votato alla totale rivisitazione di vecchie idee già ben espresse dai logori padri degli anni ‘80/’90.
Ma gli Wolf non sono semplicemente delle giovani cariatidi devote al passato e completamente incapaci di aggiungere una nota a margine delle seven deadly notes. Loro hanno il power puro in dotazione e spingono bene di canna e di corda, realizzando un pregevole manufatto che vent’anni fa gli Heaven’s Gate registravano ogni cinque giorni e poi infilavano in dischi completamente ignorati dalle masse. Ma sapete come vanno le cose. Bisogna essere nel posto giusto al momento giusto.
Che gli Wolf siano sincronizzati con la propria epoca? Sembra di sì perché, nonostante la carenza assoluta di originalità, trovano il plauso del nerdy metal set e riescono a esprimere vecchie cavalleresche metallurgie con un tono coinvolgente e animalesco al punto giusto – vale a dire un pelo prima dell’arrapamento ingiustificato. Questo è il metallo tradizionalista nella sua più viva espressività modernariale. Suono fresco e attuale a far da pane per idee antiche. Shadowland è baldanzoso fancazzismo creativo, ma – come si dice sul social Web – in alto le corna e non rompete l’incantesimo.