La perfezione cretina dell’assurdo, in una tazza di tè.
L’infanzia, se guardata con occhi critici, è un bigino di tutto ciò che – nel bene o nel male – accadrà nella vita. Dalle carezze degli amici ai pugni in faccia dei prepotenti del quartiere. Tradimenti, disillusioni, gioie e dolori. «Buoi e motori», direbbe Elio, ma poi si divaga troppo.
Ecco, già analizzare i comportamenti dei bambini a scuola era fuorviante, per esempio nel relazionarsi con l’altro sesso. C’erano i timidi, che per paura di sbagliare non muovevano un dito e a meno che non trovassero l’anima pia rimanevano buoni e il resto fa rima. C’erano gli innamorati che pendevano dalle labbra della compagna di classe nonostante i rifiuti. E poi c’era lui, il tipo che preparava quindici bigliettini con scritto “I love you” da mandare a tutte le compagne di classe, con specificato “non dirlo a nessuno” (manipolatore in erba – che magari, dopo la pubertà sarebbe diventato di), quello che, insomma, invece di rischiare davvero si giocava il minimo ma su tutte le ruote, già pronto per la paraculaggine dell’età adulta.
Bene, i malesi Wavebomb (da Singapore con furore… fa di nuovo rima, ma a questo giro si può scrivere senza troppe censure) probabilmente facevano parte di questa categoria. Riescono infatti a condensare in meno di un minuto – con così tanta nonchalance – tutta una serie di luoghi comuni sull’indie-pop-punk, scatenando nella parte razionale del cervello la reazione “bah, la solita solfa”, mentre quella più istintiva batte già il piedino e in maniera idiota ordina al dito di tornare indietro per sentire se ha detto davvero “cappuccino” nel testo.
È un pezzo stupido, e proprio nella sua vacuità sfacciata risiede il suo potenziale: un jingle idiota e irresistibile (accompagnato da un video altrettanto assurdo) che difficilmente si toglierà dalla testa. Un grammo di leggerezza necessaria in mezzo a quintali di pesantezza del quotidiano.