Per fare un cantautore ci vuole il legno.
Non c’è niente di meglio che mangiare una ciambella, ma sai cos’è meglio? Mangiare una ciambella che hai cucinato tu. Sai cos’è ancora meglio? Mangiare una ciambella che hai cucinato tu con le uova delle tue galline, il latte della tua mucca, il miele delle tue api, la farina del tuo sacco (anche come metafora). Non c’è niente di meglio che suonare la chitarra, ma sai cos’è meglio? Suonare una chitarra che hai costruito tu. Sai cos’è ancora meglio? Scriverci delle canzoni così.
Liutaio e cantautore sono due belle professioni da fare nella vita, soprattutto se la tua casa / laboratorio / studio di registrazione / pentolone di idee in continua ebollizione si chiama Casa del Cuculo, 11 abitanti di cui 5 bambini e svariati animali, e da oggi un disco, Di casa e altre avventure.
Giulio Cantore, cantautore, liutaio, padre di due figli, neo co-firmatario di un mutuo prima casa, ha fatto un disco di canzoni, canzoni con le parole, ma noi che siamo in continua ricerca di colonne sonore strumentali per i film che ci facciamo in testa ci siamo irrimediabilmente innamorati di 6.55, una ninna nanna balcanica in sette ottavi con un mandolino un po’ felino e una fisarmonica un po’ Fellini e i suoni di una famiglia che fa colazione prima del primo giorno di scuola, finché la cucina si svuota e rimane solo la musica.
Benvenuti al Cuculo, un posto in cui vedi un albero e ti viene da pensare: “quella potrebbe essere una chitarra”. Poi vedi una chitarra e ti viene da pensare: “chissà quante canzoni ci sono dentro”. Poi addormenti tuo figlio improvvisando una melodia che avevi in testa da stamattina e ti viene da pensare: “eccone una”. Poi te ne vai due settimane perché ti chiamano a suonare in Inghilterra, torni a casa, ed eccone altre altre due. Poi arriva una pandemia e il computer è lì, il microfono pure, la scheda audio funziona, cosa fai? Non lo registri un disco? È come fare il pane. E «di pane e di musica l’uomo avrà sempre bisogno», te l’ha detto una volta un fornaio e non te lo sei più dimenticato.
C’è la catena di montaggio dell’industria del pop, le canzoni con quaranta autori e ventisei produttori e le voci intercambiabili. Poi c’è gente come Giulio Cantore che suona una canzone scritta da Giulio Cantore con una chitarra costruita da Giulio Cantore a casa di Giulio Cantore, mixata e masterizzata da Giulio Cantore: il chilometro zero definitivo della musica, l’idea platonica del “niente trucchi”, la creatività libera di girovagare per casa come un gatto, un suono (o anche solo un atteggiamento di fronte alla vita) di cui potresti aver bisogno nella tua giornata.
Spunta ogni tanto qualche chitarra elettrica e un contrabbasso e una batteria spazzolata molto Tom Waits periodo di mezzo, ma in generale il suono di Giulio è acustico per vocazione, chitarrocentrico per definizione, e in costante viaggio de ida y vuelta tra Andalusia, Africa, Balcani e Medio Oriente, fino a veder spuntare all’orizzonte le colline che producono il miglior Sangiovese del pianeta, e riportare tutto a casa.
Bringin’ it all back home, come Bob Dylan. Riportando tutto a casa, come i Modena City Ramblers quando i Modena City Ramblers erano i Modena City Ramblers. Di casa e altre avventure, come quando il vino si faceva con l’uva e i dischi si facevano con il cuore.