Carogne non morte in danze sfrenate postapocalittiche.
Le strade della musica estrema sono lastricate di nero. O perlomeno quelle che conducono alla Norvegia.
Il germe sacro della sperimentazione continua a figliare sotto i canonici sei piedi di terra, ed è proprio da queste terre fradicie che otto anni fa il progetto Carrion ha preso vita.
Spietato e tutt’altro che accomodante, alchimista in nero capace di miscelare sapientemente industrial, elettronica pesante e metal, il tutto servito su un piatto putrescente e black senza compromessi, privo di qualsivoglia abbellimento superfluo.
Malleus (tratta dal disco più recente, Evangelium Haeresis) è un macigno dal quale spuntano cocci di vetro insanguinati, qualcosa che prende il Manson più nero e industrial del 1996 e lo trasforma in un sabba lo-fi ipersaturato che spaventa anche la famigerata loudness war, una marcia inesorabile che compensa la mancanza di originalità con chili di attitudine e convinzione viscerale a botte di bit.
Anche ballabile, volendo, ma solo per chi ne ha il coraggio.