Musica che punge e infiamma, con venefica e fungaiola cruenza.
I Venom Prison e i videoclip girati nel bosco a costo zero. Di certo la galleria silvana che madre natura offre alle band in cerca di una scenografia suggestiva è perfetta e squisitamente economica. Basta camminare tra le foglie e urlare al sole che tramonta, imbastire una specie di rituale wiccano for dummies e il clip è fatto. Nel caso di Nemesis siamo certamente un pizzico oltre la consueta pasticcona pagan-extra-forte che decine di gruppi “black-core qualcosa” vogliono farci ingollare ogni settimana.
Questi gallesi menano tosto senza mai concedere nulla a blande malachie canterine, messe lì tanto per tenersi buona la congerie più moderata che è in cerca di cupi ribellismi downtuned. Larissa Stupar non è granché suadente. Sembra la spiccia-casa di Angela Gossow, però ha più voce di lei e di molte starlettine con la raucedine post-COVID. In Nemesis le urla sono da cancrena tonsillare e si prova quasi una certa pena per la povera Larissa, ma è un problema solo nostro, a quanto pare. Lei ha catrame da vendere.
Nemesis è una delle parole “colte” più amate dai metallari, peccato non ne comprendano davvero il significato, e forse è proprio per questo che sovente intitolano pezzi o dischi utilizzandola. Scorgendo le liriche dei Venom Prison permane il mistero: davvero stavolta la Stupar sa di cosa stia tanto accoratamente urlando o è sempre la solita vecchia solfa sul nemico assoluto a cui la strega dagli anfibi infangati alla fine dovrà indirizzare un incantesimo vendicatore?