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Sea Change: I Put My Hand Into a Fist
Nordicamente vostra

Sea Change
I Put My Hand Into a Fist

Io (non) ballo da sola.

Confessiamo di avere un debole per chi si accosta a un canone senza timori reverenziali e se lo cuce addosso comodamente. Non di rado, con destrezza e disinvoltura ancor più pronunciate quando è dell’altra metà del cielo che si tratta, perché se il sesto senso è femminile ci sarà pure un motivo, e dando uno sguardo allo scaffale dei dischi facciamo anche alla svelta a trovarlo. Anima inquieta, la norvegese Ellen Sunde a.k.a. Sea Change è una giramondo che pubblica poco ma bene e ha portato la sua elettronica dai panorami bucolici della madrepatria verso la skyline berlinese, mantenendo il gusto “nordico” in un’emotività tenuta sotto controllo fin quasi a rasentare il subliminale.

Nella metropoli tedesca la ragazza si è sistemata nell’angolo del club dove le luci sono bassissime e la malinconia si fa largo con il passare delle ore e dei drink. È il rifugio nel quale osservi la gente e ascolti la musica alla giusta distanza. Anche se nel frattempo è tornata a casa, continua a trafficare con un “pop” che esige le virgolette tanto è trasversale, scuro e introverso, non solo perché stavolta è stato concepito durante il lockdown.

La spettrale tessitura di I Put My Hand Into a Fist si muove sinuosa, aprendo un cuore di panna attorno a morbidi beat e volute di tastiere sulle quali sussurra schegge di ansia. Tra pieni e vuoti minimali che si fermano un attimo prima del decollo, il gioco con le attese dell’ascoltatore è architettato con arguzia: la tensione dolceamara ti fluttua attorno, avvolgendoti in un ritmo lineare e in BPM moderati che alla fine ti abbandonano a mezz’aria. Non sai più se ballare o guardarti attorno, forse faresti meglio ad andare a sederti. Indovina un po’ dove?

Sea Change Ellen Sunde 

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