Un inno alla moderazione in un periodo di isteria di massa.
The Zealot Gene non potrebbe essere più adatto ai mala tempora di così e non solo per il sound. Il flauto traverso è sempre lì, ma la produzione si è fatta più “moderna” e aggressiva: riff di chitarra elettrica, synth, e un ruolo maggiormente incisivo della sezione ritmica, soprattutto nel bridge.
La parte più interessante, tuttavia, non riguarda tanto la musica, pure superlativa, quanto il testo. The Zealot Gene è un richiamo disperato alla moderazione, uno schiaffo in faccia al populismo (bipartisan) e un invito a riavvicinarsi a quell’organo che pare non serva solo a spartire le orecchie: il cervello.
Ian Anderson si scaglia contro l’oscuro appello del populismo, l’odio, la xenofobia, gli schiavi dell’ideologia, la moderazione assente, l’avere troppe opinioni. Il frontman dei Jethro Tull ha già dichiarato di non aver in mente un solo personaggio o pochi individui, ma tanti politici, tante figure pubbliche e tanti conoscenti.
Un pezzo che è al tempo stesso il commento in disparte di un saggio esausto di ripetersi e un accorato grido di dolore contro la stupidità di massa nel periodo dei social. Più semplicemente, una lezione di stile più arrabbiata del solito, che tuttavia ci ricorda quel meraviglioso periodo in cui il rock – citando l’autore Cesare Rizzi – «provò ad essere anche musica per la mente e non solo per il fisico».
↦ Leggi anche:
Marc Almond (feat. Ian Anderson): Lord of Misrule
Jethro Tull: Shoshana Sleeping
Ti amiamo forte e duro, Ian Anderson