I nuovi Whitesnake vengono dall’India.
Fa davvero specie sentire una band come i Girish and the Chronicles. Se chiudete gli occhi quando li sentite suonare, magari pensate subito alle umide stradacce del Sunset, ai pantaloni di velluto e di vacchina super-aderenti, agli stivali e i cappelli da cowboy, le capigliature biondo platino e le chitarre a stelle e strisce. Poi guardate il video e vi ritrovate davanti i figli di Sandokan che suonano uno dei più massicci residuati del metal U.S. anni ‘80, con il loro singer, Girish Pradhan dalla voce spiccicata a quella di Coverdale dei tempi di 1987.
So che queste cose ormai sono scontate. La globalizzazione ha portato le serialità orientali in Europa, il black metal è giunto in Ruanda e a Betlemme, le storie di mafia ormai le girano pure a Bollywood, ma resta sempre un pizzico di perplessità quando si assiste a un adattamento così fedele e genuino di una forma culturale estranea dove meno te l’aspetti. Difficile immaginare un’esperienza simile vent’anni fa? Cosa se ne sarebbe fatto il signor Pradhan di un’ugola così croccante e blues se fosse nato a Gangtok nel 1958? Di sicuro non una versione anni ‘70 dei Deep Purple, si sarebbe piuttosto perso nelle raga e nelle tribalde ritmiche kathakali.
E invece eccolo qui, su un fazzolettone di chitarre mediose, dove questi tamarri indiani street-glam 1991 passeggiano in scarponi e camicie da boscaioli lungo la spiaggia del divino oceano, pensando al nuovo disco di Lita Ford e a David Lee Roth che si ritira dalle scene, forse.
Di fatto se si vuole sentire del buon metallo patinato, da anni non è più oltre la battigia del Pacifico che si deve tentare. Certo mai si sarebbe creduto di scorgerne una versione qualitativamente molto alta sulle rive baraccolanti del Gange.