La navicella è atterrata e porta nuove profezie dallo spazio profondo.
Dal nulla e senza preavviso, i Voivod sganciano un singolo che anticipa l’uscita del nuovo album – ed è già capolavoro.
Inutile sprecare tempo con i convenevoli, il quartetto canadese si conferma ancora come una delle band migliori che abbiano mai orbitato attorno al pianeta Terra. Si, perché loro – da sempre – vivono in un’altra dimensione e da lì lanciano moniti e avvertimenti attraverso le canzoni.
Vi ricordate quando nel 1987 uscì Killing Technology qual era l’incipit? «We are connected», ed era tutt’altro che rassicurante. Sembrava fantascienza e invece eccoci qua, dopo quasi trentacinque anni, intrappolati nella rete.
Vero è che quei Voivod non esistono più: Piggy ci ha lasciati ormai sedici anni fa e il suo partner in crime Blacky ha gettato la spugna (per la seconda volta) nel 2014. Il fatto è che i loro sostituti non sono dei meri imitatori, ma dei musicisti sopraffini che proprio nei Voivod avevano trovato il punto di riferimento della loro crescita musicale. Non stupisca dunque che questa nuova era con Chewy e Rocky a macinare riff assieme ai veterani Away e Snake suoni paradossalmente più Voivod di altri album del passato: quando hai talento e le tue influenze sono quelle di cui stai ricoprendo ora il ruolo, la musica non può che trarne giovamento.
Già con il precedente The Wake avevamo in mano un disco eccelso, ma qui si va oltre. Se questo assaggio è indice del reale livello del prossimo Synchro Anarchy, allora avremo l’anello mancante che aspettavamo da trent’anni: dopo Nothingface infatti, con Angel Rat e The Outer Limits la band aveva deciso di prendere il sentiero prog rock, alleggerendo però notevolmente le partiture e scontentando coloro che erano innamorati del loro trasportare Bartók nel thrash. Chewy e Rocky invece sono cresciuti a pane e Dimension Hatröss, e prendono quel concetto di fare musica per creare sì del prog, ma che davvero viene da un altro pianeta.
Planet Eaters parte dondolante e dissonante come nella miglior tradizione, inchiodando improvvisamente l’ascoltatore con il dialogo strettissimo tra chitarra e basso e creando un cortocircuito ritmico che è puro godimento al cubo per ogni musicista, prima di volare nella stratosfera nella lunga sezione in aria di free jazz finale che fa intuire gli altri bagagli stilistici dei principali compositori.
Una band unica, sopra ogni moda e stile, che anche stavolta lancia un monito pesante e ben preciso: la parte musicale infatti supporta alla perfezione il peso di un testo tutt’altro che leggero: un attacco diretto a quello che potrebbe nascondersi dietro la propaganda green e che trova nel videoclip in bianco e nero a opera di Away la sublimazione di un concetto che dovrebbe perlomeno far riflettere a lungo.
Forse bisogna fidarsi dei canadesi, ci beccano sempre: Andate ad esempio a rileggere i testi di Ravenous Medicine o Technocratic Manipulators, guardatevi intorno e fatevi due domande.
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