Voglie urbane per cowboy postmoderni.
Il Giappone colpisce ancora, stavolta armandosi di chitarre grondanti sudore e groove irresistibile. Ma facciamo un riassunto: Kota è noto in Occidente per essere stato il bassista dei Christian Death nella seconda metà degli anni ‘80. Billy è un chitarrista non di primo pelo, Ina un mistero. Il look è da gangster di classe messicani, lo Yõkan un dolce tipico del paese a base di pasta di fagioli rossi, zucchero e gelatina. E quindi – parafrasando il titolo – com’è il risultato di questo mix improbabile?
Come se il Lenny Kravitz più genuino e senza lustrini fosse nato sotto i raggi del Sol Levante, i Tokyo Cowboys portano nei risvolti dei loro completi neri una ventata bollente di rock’n’roll grondante Seventies, supportata qui da un’elettronica assolutamente non invasiva che rende il tutto ancora più massiccio e quadrato.
Ed è proprio la sensazione di vivere una camminata sfacciata da outsider nelle strade di una metropoli ultramoderna quella che emana questa Yo-Kan Do Desu, quasi un rimando al passo cadenzato ma impavido e strafottente di una Crosstown Traffic, giusto per rimanere in tema urbano. Il cantato/recitato leggermente stonato è la spilletta con lo smile sullo smoking di classe, che a primo acchito sembra fuori luogo, ma che in realtà diventa il catalizzatore centrale dello sguardo d’insieme.
Pur non padroneggiando la lingua sarà impossibile non ritrovarsi a canticchiare il testo nei momenti meno prevedibili della giornata, un mantra solo all’apparenza scioccamente leggero e positivo che va a braccetto con il mood scanzonatamente sexy e sornione del pezzo. Niente male come debutto per questi due tostissimi signori di mezza età.