Il rumore che fa un pianoforte quando le note non sono importanti.
«Allora io comincerei con una cosa che, l’altro giorno, son stato a Reggio Emilia, ho visto il film di Soldini su Raffaello Baldini, il poeta di Santarcangelo di Romagna che lui lavorava a Milano, a Panorama, il settimanale, e hanno detto che lui, quando lavorava a Panorama, gli han chiesto di scrivere un articolo sui re magi, lui si è documentato poi ha cominciato così: “Non erano tre. Non erano magi. Non erano re.”».
Una canzone che si chiama 4’ 33’’ (A Tribute to John Cage) e non dura 4’ 33’’, e non è affatto silenziosa, mi fa venire in mente questa cosa che dice lo scrittore emiliano Paolo Nori all’inizio dello spettacolo Se mi dicono di vestirmi da italiano non so come vestirmi.
4’ 33’’ (A Tribute to John Cage) è la prima traccia di Old Friends New Friends, il nuovo lavoro del compositore tedesco Nils Frahm, un disco che mette insieme 23 pezzi per piano solo registrati tra il 2009 e il 2021, e sono tutti uguali e sono tutti diversi e sono tutti come 4’ 33’’: non sono affatto silenziosi, e rendono presente l’assenza del silenzio. Provo a spiegarmi.
4’ 33’’, l’originale del 1952, consiste in 4 minuti e 33 secondi di assoluto silenzio, lo sappiamo tutti: l’interprete seduto di fronte allo strumento (di solito un piano), il pubblico ad ascoltare, l’ambiente a far rumore. Cancellando la musica, svuotando il palcoscenico da attori e scenografie, quello che fa 4’ 33’’ è ribaltare la nozione di figura e sfondo: non c’è niente da vedere, niente da ascoltare, niente da capire, e all’improvviso qualcuno tossisce, o crepita una trave di legno nel tetto, o sei in cucina in silenzio come me, adesso, ma non sei mai in silenzio, perché il frigorifero ronza, perché il tuo cuore batte, perché fuori, in strada, nove piani più in basso, passa un’ambulanza.
Sarà capitato anche a voi, come cantava Mina, di sentir cantare Mina e immediatamente sfocare il significato delle parole, delle note, e essere solo capaci di dire: senti che bella voce. Senti che bel suono, il piano di Nils Frahm, senti che bei rumori fa il nostro pianeta quando disegni un pianoforte a matita e poi lo cancelli. Non importa cosa sta suonando, nove volte su dieci sono piccole stupide melodie nostalgiche con tutti i tasti bianchi: quello che conta è lo sfondo, il rumore di pedali e martelli, la pioggia fuori, lui che respira, lo sgabello che si aggiusta sotto il peso delle ossa, lo sbrodolìo stonato di un registratore a cassette, il tuo cuore che batte.
Una di queste 23 canzoni si chiama Nils Has a New Piano ed è come guardare la legna bruciare. Un’altra si chiama Wedding Waltz e sembra Erik Satie. Dice Nils Frahm: «In un certo senso, ci ho messo 12 anni a fare questo disco». Dice anche: «È stato come buttare fiori in un vaso, a caso, e a un certo punto realizzare che il tutto sembrava perfetto».
È un piacere da ascoltare, davvero, iniziamo quasi a essere in territori ASMR, e l’altro giorno Brian Eno nel podcast di Rick Rubin diceva che l’ASMR è la musica del futuro. Chi siamo noi per dargli torto?
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