La psichedelia sonnacchiosa del sabato mattina.
Confidando in certe aspettative da luogo comune, non diresti che il duo composto da Hannah Merrick e Craig Whittle provenga da Liverpool. Poi rifletti meglio e ricordi che, nel pieno sbocciare del post-punk, il Mersey è stato testimone di una psichedelia “nuova” non per modo di dire. Anche qui, tuttavia, devi fare dei distinguo, poiché la Merrick vanta origini gallesi e nei King Hannah – pronti a debuttare su album in febbraio dopo un corposo EP del 2020 – non si rinvengono tracce della new wave lisergica di Echo & the Bunnymen e Teardrop Explodes.
Alla visionarietà, infatti, All Being Fine preferisce un torpore vagamente oppiaceo che intreccia il cantautorato di Smog e Palace Brothers alle meditazioni cadenzate dello slowcore e – finalmente – a una psichedelia che flette i muscoli e sta alla larga dalle sbrodolate. Sono in ogni caso più ricami che segni marcati quelli che appaiono su un groove secco e ipnotico, profumato di quell’intontimento tipico di un sabato mattina invernale, ovvero del momento in cui ti stai svegliando però indugi ancora tra le coltri, magari provando a recuperare la coda di un sogno interrotto sul più bello.
Allo stesso modo, da un momento all’altro All Being Fine sembrerebbe esplodere in un’impennata o sciogliersi in puro incanto estatico. Invece coglie in contropiede, proseguendo senza scomporsi per la sua strada e mantenendo intatta la tensione. Ne deriva un enigma arguto di quelli che Jesse Sykes ci nega da un decennio, tra ipotesi di Opal e Mazzy Star avvolti in un esperanto indie, minimalismo calibrato al millimetro, atmosfere allo stesso tempo coinvolte e distanti. Qualcosa di mai scontato che, catturata l’attenzione in punta di piedi, sparge attorno a sé un romanticismo obliquo e meravigliato del quale scopri di non poter più fare a meno.