Fare tutto da soli a volte può essere l’unica via per andare avanti.
Storia strana quella degli Wolfmother. Ricordate quando uscì il loro debutto? Un sacco di recensioni da 5 stelle su (quasi) tutte le riviste specializzate avevano catapultato il gruppo nell’olimpo delle band da ascoltare e da vedere a tutti i costi. Erano poi seguiti a ruota tour con i più prestigiosi nomi del rock alternativo di quegli anni, tipo Pearl Jam e Foo Fighters. Poi, il nulla.
Tempo qualche anno e la formazione di Andy Stockdale era sparita completamente dai radar dei gruppi che contano, dopo essere stata pure insultata da Mike Patton (non ci credete? È successo davvero, cliccate qui).
E dopo? Vuoi per la pandemia o per decisione del capobranco, a questo giro gli australiani hanno deciso di far davvero tutto di testa loro. Ad anticipare il loro nuovo disco, Rock Out, non c’è stato alcun preordine, nessun singolo, nessun manager che ha coordinato le operazioni di marketing. Sul back del disco non è nemmeno presente un’etichetta discografica, perché questa volta il gruppo si è autopubblicato le dieci canzoni della raccolta.
Andy ha inoltre inciso praticamente ogni strumento che si sente, facendosi aiutare – a distanza e solo per un paio di linee di basso – dal fido Alexx McConnell. Poi ha chiamato un ragazzino di 19 anni, tale Cameron Lockwood, il cui compito è stato quello di far suonare bene le prime versioni demo.
Quello che ne è venuto fuori è un disco rock senza fronzoli e senza troppe pretese, ma in grado di convincere. Provare Feelin Love, la traccia di apertura, per credere.
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