Neopsichedelia così vecchia da suonare attuale.
Da queste parti apprezziamo poco le reunion e tuttavia, accanto alle regole, abbiamo spazio anche per le eccezioni. Caso eclatante i Loop, che infine abbattono il muro di silenzio eretto trent’anni fa – con uno scioglimento dopo il quale il leader Robert Hampson si è concesso una carriera solista dalla robusta impronta sperimentale – rimettendo in pista il gruppo in occasione dell’All Tomorrow’s Parties 2013 e, due anni più tardi, pubblicando l’EP Array 1, pannello inaugurale di un trittico mai concluso.
Non senza sorpresa, quindi, ecco l’apripista di un album in uscita il prossimo marzo e che Robert annuncia «incredibilmente diverso».
Staremo a sentire, pronti a essere presi in contropiede. Nel frattempo, Halo riprende il filo metallico e rovente di discorsi lasciati in animazione sospesa dal 1990, annata così lontana eppure così vicina per i maestri del mantra psicotico-delico. Forgiata incastrando ritmi motorik implacabili però graziati da flessuosa elasticità, chitarre sature ed eleganti e melodia ipnotica a lento rilascio, Halo possiede la classica arguzia che rimanda all’infinito un’esplosione sonica latente. Catturata la nostra attenzione, non abbiamo possibilità di scampo e ci torniamo su più volte, storditi e deliziati.
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Giusto così, com’è altrettanto legittimo che la band britannica si rifaccia viva mettendo il punto all’ondata neopsichedelica del terzo millennio, mostrando con disinvoltura da dove giungono idee sulle quali altri hanno costruito carriere e ricavato discrete soddisfazioni economiche.
La creatura di Hampson resta invece un nome da intenditori, i quali apprezzeranno eccome una formula di freschezza intatta per via delle ragioni di cui sopra. Serrato trip che accompagna lungo gallerie di tamburi circolari, riff mesmerico e cupezza vocale, Halo (non) è solo favoloso drone’n’roll. E per questo ci piace da matti.