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Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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... Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Jah Wobble: Poptones
Chi se ne frega di Pastorius

Guidando un’automobile giapponese in una foresta dopo quarant’anni.

La differenza intrinseca tra l’ascoltatore e il musicista ha mille sfaccettature. Una di queste è il modo in cui chi ascolta i dischi identifica una band. Nella maggior parte dei casi è la voce – in quanto “umana” e realmente riconoscibile – a prendere il sopravvento e quindi a dare un volto nell’immaginario collettivo a un gruppo. Sopra la voce c’è solo il brand, ma quello è una cosa ancora diversa.

Proprio per questo motivo quando David Gilmour continua a suonare brani da The Piper at the Gates of Dawn dal vivo nessuno si scandalizza, nonostante non ci sia letteralmente nessuno su quel palco che ha suonato o contribuito alla stesura dei pezzi di quell’album. Al contrario, se Peter Hook decide di portare in giro i brani dei Joy Division è un impostore, perché non è Ian Curtis e quindi non avrebbe diritto di suonare canzoni che lui stesso ha scritto.

Questo cortocircuito è quasi inevitabile, ma cercare di scavalcarlo regala dignità ai musicisti e allo stesso tempo buona musica agli ascoltatori. Chiedete a chi ha visto i concerti di Steve Hackett o Uli Roth: spesso molto più veri e credibili dei Genesis o degli Scorpions. Quindi, in fin dei conti, ognuno ha il diritto di (ri)suonare quello che gli pare, soprattutto quando ne è l’autore, parziale o unico che sia.

Con questo approccio la rilettura attuale di Poptones (dal seminale secondo album dei P.I.L. di John Lydon) a opera di Wobble risulta essere davvero una piacevolissima sorpresa. Certo, manca la voce in bilico tra sprezzo e sofferenza del “fu” Rotten (qui sostituita da un elegante recitato) ma la dub che stava alla base di quel disco viene qui elevata alla massima potenza, prima aggiornando l’ammaliante matrimonio in controtempo dei riff circolari di basso e chitarra a esasperarne il contrasto, poi dilatando il tutto in un mantra ambient denso e allo stesso modo impalpabile, per un brano i cui quasi dieci minuti diventano così ipnotici da far perdere la percezione stessa del tempo. Un vero e proprio viaggio in musica che è manna dal cielo per chi è cresciuto a pane e Metal Box andando oltre la pur fondamentale presenza dell’ex Sex Pistols e innamorandosi invece di quei nervosi intrecci sonori, dopati e visionari.

Rileggere se stessi in maniera così efficace dopo così tanto tempo è cosa che riesce solo ai grandi.

Jah Wobble 

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