A casa tra i ghiacci, a picco sul mare.
Fino all’inizio di dicembre, la norvegese trapiantata a Londra Anna Lena Bruland aka EERA aveva in bacheca un solo album, Reflection of Youth, uscito per Big Dada quattro anni fa. Segno di assennatezza e bel gesto in controtendenza rispetto a un’epoca caratterizzata dall’assurda sovrapproduzione e dalla smania di farsi notare, sempre e ovunque.
Nipote di un affermato direttore d’orchestra, la ragazza si è presa tempo per maturare, sfacchinando come strumentista conto terzi mentre accoglieva una vocazione artistica disposta a indagare il lato oscuro dell’anima per rivelarlo in canzoni umorali. Canzoni che carezzano e graffiano, mappando l’anima dell’autrice e mescolandone le influenze in un moderno post-cantautorato.
Cos’altro aggiungere, se non che la Bruland non teme di esporsi e anche per questo ci piace. Così come piace la volontà di scansare opzioni facili, benché sarebbe comodo – ma assai superficiale, e infine riduttivo – etichettarla come una P.J. Harvey scandinava. Terza anticipazione del nuovo lavoro Speak, il wave-pop Falling Between the Ice ragiona sui cambiamenti climatici senza fare comizi, viceversa interiorizzando la prospettiva e incentrando il discorso sulla negazione di un’evidenza drammatica.
Pensando al tema ti aspetti un’invettiva in forma di tempo medio chitarristico, invece cavalchi su slanciati sottintesi malinconici da qualche parte tra i primi Stereolab e un’illividita Jane Weaver. Con l’estrema naturalezza di chi nel frattempo ha fatto da spalla ai Public Service Broadcasting, lungo il percorso un loop di tastiere circolari illumina il paesaggio, poi saluta e sfugge come il sole di primavera tra le nubi. Resta ancora un po’ di fiato per l’ultima sgambata tra i prati. Davanti agli scogli, ti fermi a respirare. Guardi i gabbiani che volano e, anche se non lo sai, sei arrivato a casa.