Mira al cuore se l’alibi non regge e l’evidenza sfugge.
Una canzone folk è facile da spiegare. Tendenzialmente acustica, con una sequenza di accordi semplice, basa la sua musicalità sul saper dondolare come un’altalena all’apparenza innocua, che è pregna però di pàthos ed emotività, caratteristiche date più dall’interpretazione sentita e dalle rifiniture degli arrangiamenti da parte degli strumenti solisti.
Semplificando, questa è la base di Mal Auspicio.
Storicamente e, nello specifico, per quel che riguarda i Centromalessere, il problema della comprensione del folk è che il fulcro dei pezzi risiede soprattutto nel testo. E qui non si va per il sottile.
Nichiliste fino all’osso e del tutto prive di un qualsivoglia spiraglio di speranza, le liriche sono un’invettiva senza peli sulla lingua nei confronti di tutto ciò che ipocritamente oggi viene venduto come “corretto”. Parole dure, che se fino a qualche anno fa avrebbero fatto tremare solo i cosiddetti benpensanti, oggi – nel bel mezzo del cortocircuito socioculturale in cui si trova la società occidentale – faranno storcere la bocca anche e soprattutto a coloro che per una vita si sono professati “alternativi” (a cosa poi non è dato saperlo, viste le derive nella pratica).
Niente e nessuno viene salvato dalla gogna spietata dei Centromalessere, che mettono senza pietà il dito in molte piaghe mascherate da garofani spesso indossate dalle masse a mo’ di stendardo: un attacco al cuore della coscienza che porta a riflettere sulla genuinità di certe prese di posizione e, soprattutto, ci riesce con parole che fanno pensare, cosa quest’ultima sempre meno cool (è più comodo spegnersi, no?), ma che alla fine è sempre stato l’obiettivo cardine di un certo modo di fare musica “politica”, con buona pace di sole-cuore-amore e variazioni sul tema.
Che crei fastidio, piacere o più semplicemente un dibattito, di certo Mal Auspicio è un pugno nello stomaco ben assestato che non sarà facile metabolizzare in poco tempo.