Bella zia! Lo sapevi che il meticciato è il sale della vita?
A chi afferma che il rock e il jazz sono morti rispondete con una sonora risata, stappate una bottiglia di quello buono e fategli ascoltare l’ultimo album dei Low e Open Arms to Open Us di Ben LaMar Gay.
Polistrumentista di Chicago che ama stupire, Ben è un tipo sveglio e consapevole del fatto che nel 2021 le categorie strette (sia chiaro: non solo in ambito musicale) sono qualcosa di profondamente anacronistico, per non dire assurdo o addirittura dannoso. Il meticciato è il sale della vita, e il ragazzo lo dimostra da qualche anno mescolando generi e attitudini in un territorio di limine.
In quella rigogliosa terra di nessuno la lezione del post-rock, un approccio arty intellettuale ma emotivo, ricordi di soul, di avanguardia e jazz libero si scambiano le parti e i ruoli. A impedire che la faccenda sbocchi in un caos lastricato di buone intenzioni provvede il padrone di casa, regista di classe e acume, che dosa ogni elemento in modo intrigante e sorprendente. Non ci vuole poi molto – si fa per dire, eh – a pescare sonorità distanti e cucirle assieme. L’aspetto complicato della faccenda sta nel non lasciare segni di cesura dopo l’operazione, nel creare un flusso armonico anche nell’apparente disarmonia.
In ciò LaMar è maestro, come nella scelta di collaboratori e ospiti e nella capacità di conferire umanità alla sperimentazione. Prendete Aunt Lola and the Quail: un post-jazz consapevole delle proprie radici dipanato come fosse un rompicapo multicolore tra groove da giungla metropolitana, voci che parrebbero impegnate in atavici rituali e una fanfara imperiosa e squillante. Musica densa e stratificata, tuttavia capace di respirare e coinvolgere come di rado succede. Musica che srotola il fil rouge di una tradizione cittadina che dall’Art Ensemble of Chicago passa attraverso i Tortoise per giungere al nostro Gay. Hai detto niente.