Viaggi, silenzi, accenti e sfumature in bianco e nero.
Classe 1959, Andrea Chimenti fa parte del patrimonio musicale italiano di alta caratura, e meritatamente. Poco importa se la sua arte non abbia mai raggiunto il grande pubblico (anche se, per un breve periodo, con i Moda ci andò vicino – Moda, senza accento, sia ben chiaro). Chiunque abbia avuto la sensibilità e la voglia di addentrarsi nella sua discografia ha potuto solamente raccogliere emozioni e pura bellezza. Il vecchio e ingombrante paragone con David Sylvian è la classica lama a doppio taglio: se da una parte può sembrare di sminuire il valore di Andrea paragonandolo a un nome noto, dall’altra è forse l’unico modo per descrivere l’approccio pulito e profondo di Chimenti alla musica e ai testi, dove ogni pausa e silenzio hanno lo stesso valore del suono vero e proprio.
È dunque con sincera curiosità che ci si avvicina al nuovo singolo, scritto assieme ad Antonio Aiazzi, “il Marchese” dei Litfiba che – per questioni banalmente burocratiche – è stato l’unico dei ragazzi di via de’ Bardi a non ricevere il premio alla carriera nel 2020, a dimostrazione di come certe cose spesso facciano acqua da tutte le parti, pur con le migliori intenzioni.
Il risultato della collaborazione è, manco a dirlo, eccellente. L’evoluzione di un certo modo di intendere ciò che fu la new wave, trasformando il medium sonoro in musica da camera che non solo mantiene determinate coordinate stilistiche ma addirittura ne esalta il pàthos, fulcro imprescindibile che era il propellente di un genere troppe volte travisato e scimmiottato negli ultimi quarant’anni.
Una collaborazione magnifica, per un artista (anzi, due) che come il vino buono stanno regalando le sfumature migliori proprio negli anni conclusivi.
Andrea Chimenti David Sylvian Litfiba Antonio Aiazzi
↦ Leggi anche:
David Sylvian: parlando di poesia con lo sciamano