Shoegazer in (post) black.
Se è vero che – come lamentano i nostalgici – tutto è già stato fatto con le sette note del pentagramma, l’unica soluzione è la commistione di generi, preferibilmente distanti anni luce tra loro. Non sempre le ciambelle riescono con il buco, ma quando succede bisogna prestare attenzione e dedicare del tempo all’ascolto di un album, proprio – questo sì – come si faceva una volta.
I Russi Trna non sono propriamente nuovi, avendo già pubblicato tre album autoprodotti, ma arrivano oggi al debutto con una casa discografica e chissà se questa maggior esposizione riuscirà a incuriosire il pubblico. La loro proposta infatti è di quelle trasversali, che farebbero venire il mal di pancia a un purista ma allo stesso modo regalerebbero stupore a chi non ha i paraocchi. Blackened post-metal o blackgaze, insomma tipo Transilvanian Hunger mashuppato con Loveless.
Istok è tutto questo ed anche di più: un biglietto da visita ineccepibile per una band che fa della ricerca sonora stratificata il punto di forza, lasciando l’ascoltatore meravigliato di fronte a questo muro di suono inaspettatamente multicolore. Se i Wiegedood sono il suono della lacerazione nera che parte dall’interno, i Trna preferiscono dipingere quadri sì d’impatto ma con pennelli (si prenda il termine con le pinze) pop, risultando allo stesso modo appetibili sia per il blackster sia per lo shoegazer, purché entrambi non abbiano paura di uscire dalla propria comfort zone.
Un brano (e un album) a modo suo strabiliante per una band da tenere assolutamente d’occhio.
Trna Wiegedood God Is an Astronaut
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