Parlare di sé e degli altri in salsa folk pop, senza disprezzare le classifiche.
Ideale coniugazione del più classico folk americano con istanze hipster e melodie capaci di bucare il mainstream e finire dritte nei titoli di coda di film e serie tv, i Lumineers sono fra i più qualificati per parlare di big shot(s). La loro musica, generalmente leggera, possiede quel twist adolescenziale che rende vendibile un genere capace di piacere pure agli appassionati hardcore di Bob Dylan – un elemento giovane contenente pure particelle di nostalgia, che serve da cavallo di Troia. Insomma, l’equivalente in musica di un remake di un vecchio western firmato dai fratelli Coen, che va fortissimo su Netflix.
Sintesi lumineersiana di due anni di pandemia che hanno drasticamente ridimensionato i sogni di grandiosità di cui popoliamo la nostra vita finché non ci confrontiamo con lo specchio della realtà esterna, Big Shot è il secondo singolo del nuovo album, Brightside. E come c’era da aspettarsi, è più carico che mai di quell’amarezza menefreghista che rappresenta il fascino maggiore delle loro melodie per pochi strumenti. L’insorgenza del piano, e la relativa calma del cantato di Wesley Schultz (di solito propenso a performances strozzate e tutte insistite verso la parte più alta del suo range, a costo di leggere, e studiate, stonature – «every song was out of key», come dicono qui) poppizzano ulteriormente il loro sound, in combutta con l’arpeggio leggermente distorto che evoca i migliori Coldplay. Ma è un giocare sporco piacevole, che non snatura.
Il videoclip, che per loro stessa ammissione si ispira all’ingenuità della prima MTV, fa il resto. E tutto torna, alla fine.