Il pellegrinaggio del post-rock passa ancora dal paradiso dantesco.
Il post-rock è uno dei generi che, nelle ultime due decadi, più è stato assorbito dal panorama musicale tutto, contaminandolo a suon di arpeggi meditabondi, atmosfere malinconiche e crescendo magniloquenti. Tra i maggiori esponenti di queste soluzioni sonore, sicuramente, non si può non citare il nome dei Mono.
Eccoli dunque tornare – puntuali come un orologio svizz… giapponese – con un nuovo lavoro, Pilgrimage of the Soul, e portare avanti quel canone che – anche grazie alla mirabile triade You Are There, Hymn to The Immortal Wind e For My Parents – Taka e soci hanno aiutato a rendere ben noto.
Qui, però, le tonalità si fanno ancora più eteree e la violenza espressiva di certi crescendo tace completamente in favore di un clima più mite e sognatore, che ben ricorda i vecchi fasti discografici. Anche questa volta i Mono regalano una piccola perla di emozioni, trascritte su un semplice giro di piano e orchestrate su un tappeto di archi di sicuro impatto immaginifico, paradisiaco, nel senso dantesco del termine. Heaven in a Wild Flower potrebbe infatti essere il seguito di Requiem for Hell di qualche anno fa.
Se nulla di nuovo fuoriesce dall’attuale proposta del quartetto di Shibuya è anche vero che quando la dolcezza e la pacatezza di certi sentimenti diviene così potente, allora, anche nel minimalismo e nel suo essere – se si vuole dire così – scontata, un ventennio di quella che qualcuno potrebbe chiamare “sempre la stessa roba” forse non è ancora abbastanza. Brani come questo, infatti, continuano ad arricchire una proposta musicale che può vantare cuore ed èpos veri, che possono continuare a vivere sempre con le medesime sembianze.
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