Guardare al passato proiettandosi verso l’infinito.
Per chi è nato a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90, il concetto di sintetizzatore si riduce a una serie infinita di compilation scrause che riempivano i negozi di dischi (e poco dopo i cestoni delle offerte negli autogrill) dove il poveretto di turno riproponeva in maniera spesso pomposa alcuni classici della musica elettronica e non. Una specie di Richard Clayderman attaccato alla corrente.
I più colti invece si spingevano fino a Mike Oldfield (sempre e solo Tubular Bells però, sia chiaro), Alan Parsons (mai oltre Mammagamma) e Jean-Michel Jarre (Oxygène e poco più). Dopodiché, il vuoto.
Per chi si ferma lì, il consiglio è di andare oltre, perché il genere synthwave ha regalato e continua a regalare delle vere e proprie perle nascoste.
Un esempio su tutti è il danese Jeppe Hasseriis, alias Dynatron. Classe 1980, con all’attivo due album e una manciata di singoli, esce in questi giorni con il suo nuovo lavoro, una specie di concept sci-fi dove gli insegnamenti dei maestri del genere (vedi Vangelis o lo stesso Jarre) diventano una base dalla quale far partire nuove e inedite forme di scrittura. La sua formula si snoda attraverso una concezione dell’elettronica evocativa e cinematografica, terribilmente efficace e visionaria nel suo dipingere paesaggi cosmici che altro non sono se non proiezioni fantastiche del nostro essere biologicamente mortali.
Le soluzioni presenti su Origins (sia il singolo sia lo splendido album omonimo) vanno a comporre un bignami di tutto ciò che è stata appunto la synthwave, aggiornandola a oggi e proiettandola verso domani, il tutto con uno stile personale e definito, che non nasconde un raro e inestimabile talento. Il futuro del genere parte anche da qui.